giovedì 8 maggio 2025

Conclave di Edward Berger


La struttura di Conclave non è dissimile da quella di una puntata di un procedurale televisivo in cui, alla ricerca del colpevole, l’indagine individua uno o due sospetti per infine scoprire, con un colpo di scena rivelatore, il vero assassino. Allo stesso modo, i cardinali riuniti nel conclave eliminano uno dopo l’altro i migliori candidati, davvero colpevoli di qualche fallo, non proprio veniale, e arrivano alla conclusione di un unico, reale papabile. Con questo andamento uguale e contrario al poliziesco più classico e quotidiano, il film risulta un thriller abbastanza convenzionale e, come tale viene fotografato, con abbondanza di chiaroscuri, misteri e sotterfugi in abbondanza, una ricerca del candidato che si assimila a un’indagine investigativa in cui capire chi sia davvero innocente, senza peccato e adatto al trono pontificio. Il tutto condito da interessanti ed eleganti massime sulla fede, la sua evanescenza, sul dubbio come motore e sull’azione imperscrutabile dello spirito santo che hanno fatto vincere l’Oscar della migliore sceneggiatura non originale al film (su 8 candidature).

Eppure è la regia che dal film emerge, con una recitazione sommessa e concitata al contempo, fatta di un basso continuo di voci sussurrate, interrotto da improvvisi scoppi di ira e di violenza verbale, di esplosioni di umanità latente e dolente. Perché Conclave è un film dalla evidente corporalità, imprigionata dalle forme delle sue stesse geometrie, sia geografiche che morali, ovvero di inquadrature compassate e simmetriche, raggelate su sfondi impassibili e imponenti. Tra la claustrofobia tombale di Santa Marta, dove dormono i cardinali e dov’è morto il pontefice, murati nel marmo di pareti vuote, fino alla dovizia di dettagli e dolore magnificati dagli affreschi della Sistina, i cardinali si muovono come galleggiando su pavimenti istoriati o anodini, assediati da un buio caravaggesco su cui si stagliano, deboli e mortali, intenti a un chiacchiericcio futile e forsennato mentre il nero alle loro spalle sembra in procinto di divorarli.

Nel cercare di stabilire chi tra loro sia il più meritevole, o il meno indegno ad avvicinarsi con migliore sincerità al divino, il corpo dell’erede di Pietro si sustanzia con evidenza, mentre il film tutto è punteggiato da elementi corporei sempre più evidenti, dal cadavere del vicario di Cristo iniziale, reso più umano dalla scomparsa e sballottolato nel suo sacco mortuario, fino al corpo anomalo di un suo successore imprevisto su cui si conclude; è la materia stessa della Chiesa che viene messa in dubbio, soprattutto nella sua eccezione di Curia romana, di corpo travagliato, di ufficio di governo, dedita alla politica e alla convergenza delle divergenze durante l’elezione e le numerose e contraddittorie nomine successive. A fare da contrappunto sonoro alla storia di un corpo, il cui spirito si travasa in un nuovo contenitore umano, ci sono i respiri affannosi e i sospiri, le urla e gli insulti, i rumori della vita e della carne, ben in risalto nella colonna sonora.

Oltre il giallo del minor colpevole E la strategia del miglior candidato, veicolati dal copione, il film vive della sua messinscena, di una reclusione coatta tra pareti troppo spoglie o esageratamente ornate in cui semplici uomini si agitano per carpire un senso che sfugge, addobbati dal rito e dalle consuetudini di un maschilismo imperante in cui il femminile (delle suore, delle amanti, del corpo) è un’eterna minaccia e un’eresia, imprigionati da una tradizione astratta e rigida che impedisce loro letteralmente di vedere il mondo, che diventa, pertanto, estraneo, sino alla violenza della protesta di un incompreso maltrattato.

Il montaggio, preciso e mai voluttuario come nella maggioranza dei recenti film -soprattutto italiani-, alterna dettagli e inquadrature d’insieme, aumentando la claustrofobia di una pellicola con pochissimi esterni, in apparenza concentrata nello svelare un segreto nascosto quando invece avanza nel seguitare le mosse di uno scacchista defunto che aveva ordito e ordinato tutto, lasciando l’illusione di un libero arbitrio. Di questa regia occulta e segretamente ironica, il film mima l’andamento, procede così spedito e perfettamente controllato, sino all’evidenza di una conclusione inscritta nella sua premessa, che lo spettatore laico legge come sceneggiatura di ferro ottimamente illustrata, il credente in Piazza San Pietro, nella finzione come nella realtà che l’ha raggiunta, può rintracciare l’opera imperscrutabile di uno Spirito Santo.

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