giovedì 8 maggio 2025

Captain America – Brave New World di Julius Onah


Film di transizione, verso un futuro migliore delle deludenti aspettative del ciclo sul multiverso, ovvero la Fase 5 del MCU, la prima avventura del nuovo Capitan America è un sequel cinematografico di Endgame (2019) e televisivo di The Falcon And The Winter Soldier (2023), secondo quell’integrazione ormai perfetta tra piccolo e grande schermo voluta da Disney e che vede alla sua confluenza il canale in streaming Disney+.

Ma non è facile tornare in sala, anche per un supereroe, dopo essere stati visti in tv, e nemmeno il titolo di novello capitano americano non è stato sufficiente a richiamare la moltitudine di spettatori degli Avengers. Ed è anche in quest’ottica di ritorno dei Vendicatori che il film con Falcon e lo scudo si rivela di transizione, evocandone in chiave minore i fasti ma permettendo al personaggio, tramite il nuovo Presidente che lo informa della sua intenzione di riformare il gruppo, di farsene precursore. Nel frattempo, però, gli Avengers sono stati decimati, dato che praticamente ogni capitolo aggiuntivo a Endgame è servito a congedarsi di almeno uno dei vecchi eroi mascherati, e il riscontro del pubblico si è fatto sempre più flebile.

Il nuovo Captain America, come vuole la tradizione del personaggio, si trova alla confluenza tra azione e spionaggio, tra spirito patriottico e ubbidienza, sempre in lotta tra dovuta fiducia e iniziativa individuale. Alla solarità di Steve Rogers, figlio degli Anni del New Deal, si sostituisce la consapevolezza anche razziale di Sam Wilson (e del regista), molto più critico nei confronti di ogni ordine impartito dall’autorità, soprattutto se incarnata da un militare forsennatamente avverso ai supereroi come Thaddeus Ross (qui interpretato da Harrison Ford, dopo la dipartita del precedente interprete William Hurt), acerrimo nemico soprattutto di Hulk (temporaneamente indisponibile perché mandato nello spazio nella serie She-Hulk). Ed è proprio al primo film dei Marvel Studios, all’Incredibile Hulk del 2008 a cui questa pellicola fa diretto riferimento, recuperando anche l’altro personaggio (dopo che il primo avversario del gigante verde, Abominio, era riapparso in She-Hulk), Samuel Sterns, scienziato vendicativo. Eliminato lo Shield e allontanato Nick Fury (nell’omonima miniserie), l’elemento spionistico è costituito dal complotto verso il presidente, legato a un condizionamento comportamentale debitore di molta letteratura e serialità (Alias, ad esempio, da cui proviene l’interprete del supersoldato nero e dimenticato) così come, cinematograficamente, almeno dei dueManchurian Candidate (di cui uno di Jonathan Demme). Ma è strano che la presenza di una Vedova nera (versione ex-Mossad: Sabra) non abbia portato i personaggi a pensare alle antiche tecniche di condizionamento della stanza delle Vedove (cfr Black Widow) e ad arrancare per mezzo film per capire cosa stesse succedendo.

Se Steve Rogers doveva fama e ruolo al siero del supersoldato, che ne ingigantiva le capacità , in questo film (Isaiah Bradley a parte) i supereroi militanti non possono che contare sulle proprie forze, coadiuvate da allenamento e sofisticate armature da combattimento (i due Falcon), oltre al fidato Scudo in Vibranio ereditato dal primo Cap, mentre gli avversari sembrano tutti potenziati (fisicamente o mentalmente) dai raggi gamma, con una discrepanza tra la rabbia del mutato Hulk Rosso e l’agilità del semplice umano rinforzato, mettendo sempre in difficoltà anche la credibilità delle scene.

Nel suo ingrato ruolo di erede designato e prosecutore, il personaggio e il film fanno i conti con l’elemento di continuità con gli Eternals (uno dei minori successi della Marvel tanto da non meritarsi alcun seguito), ovvero l’emergere del corpo di un Celestiale dalla massa terrestre (che avrebbe portato alla distruzione del pianeta, se completato) diventato adesso una nuova isola in mezzo all’Oceano Indiano e oggetto delle mire di molte potenze per la presenza di un nuovo potentissimo materiale (l’Adamantio) di cui l’America si vorrebbe autoproclamare garante e che fa avanzare una trama che, da diplomatica, si fa sempre più militaresca.

Ed è forse in questa veste, geopolitica, nazionalistica e predatoria, che il film riflette una certa attualità, con una modalità che non vuole (per condizionamenti imposti e tempi di produzione) essere critica ma che può diventare metaforica, poiché vedere il presidente neoeletto che distrugge per furia e volontà di potenza l’Ufficio ovale e la Casa Bianca incarna perfettamente il rischio di questa America, rossa di rabbia come le cravatte del Presidente, che si vorrebbe e si proclama di nuovo grande, mentre intimorisce il mondo che la guarda con crescente preoccupazione. Ed è ironico vedere che, parallelamente, sul piccolo schermo, anche la Grande Mela guidata da Wilson Fisk, nuovo sindaco in Daredevil: Born Again, si trasforma nel porto franco di tutte le nefandezze di un criminale mai davvero redento, che sfrutta leggi e potere per garantirsi immunità e guadagno con violenza e prepotenza (un discorso peraltro poi prolungato dall’altra serie Disney+, Andor, facendo riferimento all’opprimente Impero di Palpatine in Star Wars e assumendo il tragico punto di vista dei ribelli di Rogue One).

E, così, l’ultimo Captain America, abbastanza lineare nello sviluppo e piatto nell’esito, che vuole ricucire le fila di una narrazione fin troppo espansa tra i vari lati di uno schermo che smarrisce i suoi sfrangiati margini, con supereroi riluttanti e infine poco convincenti, a loro volta persi tra i risvolti dei riferimenti pregressi, diventa infine un film di transizione tra la finzione e un’inimmaginabile realtà, metafora inquietante di un altro Brave New World precario e rovinoso, in via di definizione.

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