La classicità di Spielberg e la
sua totale fiducia nella forma cinematografica si manifesta nella capacità di
esprimere idee e concetti quasi senza dialogo, affidandosi alle immagini e alla
loro successione, con la leggerezza di un funambolo che insegue le persone e le
cose per trasformarle in parole. Ed è un film sulla parola, The Post, la
parola scritta dell’informazione, la parola impegnata nei rapporti schietti, ad
amici o soci, la parola celata della politica e dell’economia, che guardano
alla realtà con parzialità, la parola delle minoranze che, infine, conquistano
una voce.
Centrato sull’editrice del
“Washington Post” e sui suoi dubbi sulla pubblicazione di documenti riservati
(tema sempre attuale negli Stati Uniti) proprio nel delicato momento della
quotazione in borsa del giornale, The Post è un film sulla riscossa
della verità. Non soltanto quella dei fatti, segretati dai governi, ma anche
nel senso di un’emancipazione di strati sociali che vedono in Katherine Graham
un’involontaria e reticente paladina. È nelle sue incertezze e nel progressivo
riscatto dall’altrui parere che la scelta della pubblicazione dei Pentagon
Papers ha il sapore di una affrancamento dalle costrizioni sociali verso
un’apparente libertà e autonomia. Come il film mostra chiaramente, le donne si
alzavano da tavola quando le discussioni si facevano serie, lasciando gli
uomini a fumare e a decidere, riservandosi la funzione estetica e
organizzativa, il mero dibattito domestico e una vocazione ancillare in un
mondo del lavoro a forte dominante maschile (e bianca).
Le esitazioni della voce di
Streep, il balbettio intimidito, il repentino oscillare tra diverse opinioni
riflesse terminano nella scelta di scegliere, nella decisione di assumersi una
responsabilità individuale e privata che diventa, automaticamente, sociale. In
un episodio apparentemente secondario, Katherine viene fatta passare
dall’entrata riservata alla Corte Suprema mentre aspettava in fila. La ragazza
di colore che l’accompagna, pur essendo un funzionario pubblico a lei
teoricamente avverso, si dichiara però dalla sua parte in una lotta che diventa
così non solo a favore della libertà di stampa, ma di espressione e di vita, di
parità delle donne e delle etnie.
L’impegno che il film manifesta a
favore della verità in un’America dominata da un presidente eccentrico e
allergico ad ogni espressione di dissenso si allarga, nel riflesso dell’oggi,
ad inglobare l’eco della diffusa riscossa femminile, a farsi manifesto di
istanze progressiste troppo spesso, e ovunque, appannate. Ma non c’è retorica in
The Post, solo il ritratto di un
momento e di un gruppo di personaggi chiamati, per forza di cose e di
occasioni, ad assumere, loro malgrado, il compito di essere eroici, costretti
ad uscire dalla propria normalità dall’eccezionalità della situazione.
Attorno ai due grossi calibri dei
protagonisti, Streep e Hanks, modulati, rispettivamente, in una varietà di
sfumature delicate e in una certa fissità assertiva che ribadisce una
distinzione fondamentale tra femminile e maschile che il film asserisce per
ritrarre il tempo della sua ambientazione, Spielberg inserisce (com’è sua
consuetudine) trascinanti figure di contorno, incarnate da abili attori, volti assai
riconoscibili perché mutuati dalla vasta a varia serialità televisiva, fucina
infinita di talenti. Con l’ironia, ad esempio di far incarnare a Matthew Rhys,
noto come spia sovietica sotto copertura in The Americans, il ruolo
della talpa che fa trapelare i documenti, quasi ad assecondare le paranoie cospirazioniste
di Nixon.
Ma se ogni personaggio vissuto è
soltanto una pedina della storia reale, assurto ad un ruolo simbolico per il
momento in cui si è trovato a vivere e ad agire, anche ogni film diventa un
tassello di un più vasto panorama, un frammento di una narrazione diversamente
articolata. Così, il film inizia sui campi di battaglia in Vietnam, con il
nervosismo di una macchina da presa sballottata dalla fuga dalle pallottole di
un nemico invisibile, e si conclude con una visone d’insieme del palazzo del
Watergate mentre una guardia notturna scopre l'intrusione degli uffici del
Partito democratico da parte di emissari di Nixon. E sebbene questa sia
un'altra storia, da questa consegue: The Post prosegue i vari film bellici
sul Vietnam degli Anni 70 e 80, e prelude a Tutti gli uomini del presidente (di cui rievoca fedelmente la scena
inaugurale), in una filiazione morale e culturale (così come Lincoln faceva da prequel a The Conspirator di Redford, ad esempio) che
è anche una dichiarazione d’intenti e di partecipazione da parte di un regista
da sempre interessato alla verità dei suoi personaggi, terrestri o meno e del
contesto, realistico o fantastico che sia.
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